Pubblicata la relazione della Dia, Direzione investigativa antimafia, relativa al secondo semestre 2020 (luglio-dicembre). Lungo capitolo sul fenomeno mafioso in Capitanata che, stando a chi scrive, “continua ad essere segnato dalla presenza delle tre distinte articolazioni quali: la società foggiana, la mafia garganica e la malavita cerignolana. Si tratta di espressioni criminali diverse tra loro che, nel tempo, hanno saputo interagire realizzando modelli strutturali omogenei per molti dei gruppi criminali che vi afferiscono”.
Nel focus sulla città di Foggia, la Dia evidenzia che “perdurerebbe lo stallo tra le tre consorterie mafiose, Moretti-Pellegrino-Lanza, Sinesi-Francavilla e Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese che risultano da tempo contrapposte, sia pure a fasi alterne, in una sanguinosa guerra di mafia per il conseguimento della leadership interna e il controllo degli affari illeciti ma, allo stesso tempo, unite nella condivisione degli interessi economico-criminali.
Dotato di una energica influenza criminale in ambito provinciale il clan Moretti – si legge ancora – è ramificato nell’Alto Tavoliere (grazie all’appoggio del clan La Piccirella-Testa), nell’area garganica (in virtù dei collegamenti con il clan ex Romito con il quale si è schierato militarmente nella faida contro i Li Bergolis) e nel basso Tavoliere (con il gruppo Gaeta di Orta Nova).
Già in guerra con il gruppo Moretti, il clan Sinesi-Francavilla è tradizionalmente collegato ai cosiddetti Montanari dell’area garganica (in particolare al clan Li Bergolis) e ai Nardino di San Severo. Esso opera prevalentemente nel capoluogo di provincia ed è attivo nelle estorsioni, nei traffici di stupefacenti, usura, riciclaggio nonché nel gioco illegale.
La batteria dei Trisciuoglio ha infine sviluppato sinergie con elementi mafiosi della provincia in particolare con il clan Romito operante a Manfredonia e con elementi della criminalità di Orta Nova”.
Secondo la relazione della Dia, “il carattere federativo delle tre batterie citate continua a rappresentare la condicio sine qua non per metabolizzare gli effetti delle energiche attività di contrasto che hanno privato i clan delle figure apicali. Ne è conferma quanto confluito nell’operazione Decimabis eseguita il 16 novembre 2020 dalla Polizia di Stato e dall’Arma dei Carabinieri, che ha consentito di definire gli equilibri interni delle tre batterie della società foggiana e ‘l’ordinario andamento dell’agire mafioso’ evidenziandone la pervasiva e sistematica pressione estorsiva nei confronti di imprenditori e commercianti di Foggia gestita secondo un codice regolativo predefinito, condiviso e significativamente denominato come il ‘Sistema Foggia’”.
“Dal contesto investigativo – ricordano gli investigatori antimafia – è emerso come la protervia dei membri della società foggiana si estrinsecasse non solo nella formulazione di richieste estorsive ma anche nella imposizione dei prodotti da vendere nel capoluogo così realizzando anche una contrazione inevitabile dei redditi oltre che, in linea generale, ‘impedendo la crescita economica della città di Foggia’. Peraltro, l’atteggiamento reticente assunto dalle vittime dei taglieggiamenti nei confronti delle Forze di polizia è sintomatico della loro soggezione al ‘prestigio criminale’ dell’associazione che ‘per la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti, anche simbolici ed indiretti, si è accreditata come un centro di potere malavitoso temibile ed effettivo’. È evidente, ancora una volta, come questa situazione di diffusa sottomissione – si legge – segni il passaggio da un modello tradizionale di racket a uno molto più subdolo e insidioso in cui per concretizzare l’imposizione è sufficiente la fama criminale e la forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo (la cosiddetta estorsione ambientale). I riscontri investigativi nel confermare la presenza di una rigida scala gerarchica hanno evidenziato come l’arroganza degli associati si manifesti ‘non solo all’esterno ma anche all’interno, prevedendo punizioni corporali nei confronti dei sodali non rispettosi delle regole dettate dai vertici’. Gli aspetti emersi dai risultati giudiziari hanno consentito di accreditare parte del compendio investigativo già acclarato da altri procedimenti probatori confermando il ‘dna’ della società foggiana nelle sue tre segmentazioni criminali dotate di margini di autonomia decisionale e operativa ma facenti capo a un nucleo direttivo costituito dalle figure di vertice delle singole batterie. L’individuazione di un asse trasversale tra le tre consorterie funzionale alla gestione dei proventi illeciti è espressione di quella modernità proiettata verso un modello affaristico in cui i rapporti di cointeressenza diventano più forti di quelli di sangue. Tutti gli elementi confluiti nel procedimento hanno offerto significative chiavi di lettura oltre che sui rapporti fra le figure di raccordo delle diverse articolazioni anche sulle dinamiche organizzative ed operative finalizzate al controllo capillare di ogni settore economico-produttivo cittadino ‘dalle agenzie funebri ai gestori di slot machine, passando per gli esercizi commerciali, per finire alle corse dei cavalli’. Ma la ‘metastasi tumorale’ della società foggiana è risultata in grado di infettare influenzandola anche l’azione amministrativa. Ulteriore riscontro circa l’esistenza della pervasività criminale si coglie, infatti, nel riferimento alla cosiddetta ‘zona grigia’ ossia all’accertata sudditanza verso gli interessi della società foggiana da parte di professionisti o dipendenti pubblici infedeli ‘sempre pronti ad aderire o addirittura a prevenire con estremo zelo le richieste in ordine ai bisogni o alle aspettative più svariate, anche quando non compatibili con norme di legge o doveri deontologici, per il rispetto portato verso i rappresentanti della batterie ed il desiderio di evitare qualsiasi genere di insoddisfazione dei temibili interlocutori’. Ad esempio, significativo è risultato il ruolo di un impiegato comunale che ogni giorno forniva alla criminalità foggiana l’esatto numero dei decessi indicando l’agenzia di onoranze funebri interessata. Le informazioni dettagliate hanno consentito al sodalizio mafioso di esercitare un sistematico controllo estorsivo sulle agenzie funebri fissando nella somma di 50 euro il ‘pizzo’ dovuto per ogni incarico funerario modificando in tal modo le precedenti pratiche estorsive che prevedevano la corresponsione di 500 euro al mese”.
“Il raggio d’azione criminale della società investiva anche altri appetibili settori come quello delle competizioni sportive ippiche che consentivano ai clan foggiani di realizzare ingenti profitti dalle scommesse o delle assegnazioni degli alloggi di edilizia popolare e delle patenti di guida. I proventi illeciti dell’attività estorsiva realizzata a tappeto nei confronti di tutti gli operatori economici operanti nel capoluogo alimentavano la ‘cassa comune’ necessaria per il mantenimento dei sodali – anche quelli detenuti e delle rispettive famiglie – e per sostenere le spese legali sviluppando collaudati processi di gestione centralizzata nell’acquisizione e nella ripartizione delle risorse economiche. Slegato dalle regole di solidarietà e assistenza mafiosa era invece il profitto derivante dall’attività usuraria svolta in maniera autonoma dai sodali. La pressione estorsiva esercitata dalla mafia foggiana sul tessuto socio-economico locale è emersa nell’ulteriore step dell’indagine Decimabis che il 26 dicembre 2020 ha portato all’arresto per estorsione consumata, tentata e aggravata dal metodo mafioso di 4 elementi della società foggiana di cui 2 appartenenti alla batteria Moretti e gli ulteriori alla batteria Trisciuoglio quest’ultimi già sottoposti a fermo di indiziato di delitto, il 3 dicembre 2020. È emerso, del resto, come l’attività estorsiva riguardasse anche il segmento criminale dello spaccio di stupefacenti attraverso l’imposizione del cosiddetto punto ai soggetti attivi nello smercio. Al riguardo, i riscontri investigativi e di analisi fanno presupporre che i nuovi equilibri di potere abbiano favorito le spinte scissionistiche all’interno dei Sinesi-Francavilla timorosi di risentire delle rivendicazioni del clan Moretti-Pellegrino a seguito dell’omicidio di un noto pluripregiudicato ‘morettiano’ cassiere della federazione (Rodolfo Bruno, ndr). Nella già descritta fase investigativa conclusa il precedente 16 novembre 2020 è infatti documentata l’esistenza di una nuova articolazione che ‘…era comunque pienamente inserita nel sodalizio vicina al clan Sinesi-Francavilla…’.
Il fenomeno di modernizzazione criminale della società foggiana viene lumeggiato anche nell’indagine Grande Carro del 27 ottobre 2020 che si è concentrata sulle dinamiche criminali dell’articolazione Delli Carri una costola della ‘macrostruttura mafiosa’ Sinesi-Francavilla attiva a Foggia, Orta Nova, Ascoli Satriano e Cerignola con interessi su Rimini e l’Alta Irpinia, nonché in Bulgaria, Romania e Repubblica Ceca. La propensione affaristica dei vertici dell’associazione si è concretizzata in una spiccata duttilità operativa su più fronti (socio-economico, finanziario e politico-amministrativo) capaci di interagire con le zone grigie, consolidando, nel contempo, il radicamento nel territorio.
In tale contesto, gli ingenti profitti illeciti derivavano oltre che da una forte pressione estorsiva esercitata ai danni di aziende agricole, ditte di trasporti, onoranze funebri e società attive nei settori dell’eolico e delle energie alternative anche dalla percezione di provvidenze comunitarie mediante truffe a carattere transnazionale nel settore dell’agricoltura.
Il meccanismo fraudolento – riporta ancora la Dia – verteva sull’utilizzo di società cartiere sedenti in Romania e Bulgaria e sulla complicità di funzionari regionali infedeli e professionisti del settore i quali eludendo le procedure nonché sovrastimando i costi dei lavori e dei macchinari consentivano a persone fisiche e giuridiche riconducibili all’organizzazione di beneficiare di erogazioni milionarie. Fondamentale in tali illecite attività è stato il ruolo svolto da un imprenditore il quale potendo contare sulla protezione dei Delli Carri è stato qualificato come elemento di raccordo con i cosiddetti ‘colletti bianchi’ cioè quegli ‘uomini cerniera’ attraverso i quali la mafia foggiana costruisce il suo ‘capitale relazionale’, funzionale a far prosperare le sue attività illecite. Pertanto, potendo disporre di ingenti somme di denaro il sodalizio costituiva una holding transnazionale tra Romania-Bulgaria-Italia (con basi nelle province di Foggia e Salerno) per documentare attraverso alcune società estere e italiane una serie di operazioni inesistenti. Le operazioni di riciclaggio, attraverso società intestate a prestanomi erano curate da uno dei fratelli Delli Carri (Donato Delli Carri, killer dell’imprenditore Panunzio nel 1992, ndr) elemento di spicco del clan Sinesi-Francavilla e da anni residente a Rimini dove provvedeva alla cura degli investimenti finanziari nel settore della ristorazione e dei giochi e delle scommesse. Rilevante in questo contesto il ruolo di un avvocato (Michele Gianquitto, ndr) che ‘…ha stabilmente e continuativamente garantito un effettivo contributo causale in termini di agevolazione dell’operatività del sodalizio indagato, attraverso consulenze che esulavano i limiti di una normale e deontologicamente corretta attività difensiva…’. Il gruppo ha potuto così accumulare un’ingente disponibilità di denaro che ha tentato di schermare attraverso operazioni transnazionali come quella del valore di mezzo milione di euro per l’acquisto di un complesso immobiliare sito a Praga (Repubblica Ceca) grazie all’appoggio di due imprenditori foggiani stanziati in quella nazione.
Emblematico anche il rapporto con un ex consigliere regionale (nell’ordinanza di Grande Carro si cita Lonigro, ndr) che in cambio del sostegno elettorale nelle elezioni amministrative comunali di Foggia del 2014 curava gli interessi economici del clan nello specifico settore dell’agroalimentare. Gli approfondimenti svolti nel particolare ambito hanno evidenziato come gli indagati abbiano percepito indebitamente contributi per l’agricoltura erogati dall’UE e dalla Regione Puglia. I risultati investigativi hanno portato al sequestro per equivalente di 13 milioni di euro e al sequestro preventivo di 3 milioni di euro. I provvedimenti hanno riguardato beni mobili, immobili, quote societarie e compendi aziendali nonché rapporti bancari e finanziari.
In un’ottica provinciale, il ruolo centrale della società foggiana è ricoperto dalla batteria Moretti-Pellegrino-Lanza che ha influenzato le dinamiche criminali dell’area garganica e dell’Alto Tavoliere ma anche di altre regioni come il Molise e l’Abruzzo. Significative, in tal senso, sono le risultanze info-investigative ottenute dall’operazione Araneo del 26 ottobre 2020 che ha consentito di disarticolare un ‘sistema criminale’ gravitante intorno alla figura di un elemento del sopramenzionato clan (Gianfranco Bruno detto ‘Il Primitivo’, cugino di Rodolfo Bruno, ndr) ‘…la cui abitazione rappresentava un vero e proprio ‘quartier generale’, deputata alla definizione delle strategie commerciali del gruppo, all’incontro del capo con i suoi partecipanti (per il rendiconto sull’andamento delle singole attività criminose) o con gli esponenti apicali dell’organizzazione mafiosa denominata ‘società foggiana’ o ancora con gli appartenenti ad altre compagini criminali come quella cerignolana…’. La fitta e trasversale ragnatela di rapporti e di interessi illeciti era finalizzata al controllo sul traffico degli stupefacenti che il sodalizio ‘…si procurava anche per ingenti quantitativi per poi reimmetterli nel mercato illegale attraverso attività di spaccio al minuto, curandone in alcuni casi il trasporto anche al di fuori della città di Foggia…’ potendo disporre di un adeguato e stabile apparato organizzativo costituito da uomini e mezzi. Il dirigente ed organizzatore, inoltre, nell’occuparsi personalmente del reperimento dello stupefacente sul mercato conduceva ricerche comparative meticolose per ottenere il prodotto al prezzo più competitivo ‘… frutto di un accurato monitoraggio del trend di settore così da orientare la commercializzazione verso le tendenze di mercato, assecondando la clientela con la vendita di droghe alla moda: ad esempio, hashish della qualità SD, Louis Vuitton e Rosa dei Venti…‘. I canali di approvvigionamento erano prevalentemente localizzati a Cerignola e curati da altro elemento di spicco dello stesso clan mentre la rete di spaccio si diramava in più piazze della provincia e anche in Molise, Basilicata ed Abruzzo”.