“Il fenomeno mafioso foggiano desta maggior allarme sociale tanto da essere considerato dalle Istituzioni, soprattutto negli ultimi tempi, un’emergenza nazionale. Al riguardo il Procuratore Nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho, ha definito la mafia foggiana come ‘il primo nemico dello Stato’ nel corso dell’intervento tenuto presso l’Università di Foggia il 27 gennaio 2020 e più recentemente in occasione della conferenza stampa del 16 novembre 2020 relativa all’inchiesta Decimabis”. È quanto riporta l’ultima relazione semestrale della Dia, periodo luglio-dicembre 2020, che alla criminalità organizzata foggiana ha dedicato ampio spazio.
Si parla di “salto di qualità” della società foggiana “che tra affari criminali e politico-amministrativi appare sempre più come una mafia ‘camaleontica’ capace di essere insieme rozza e feroce ma anche affaristicamente moderna con una vocazione imprenditoriale. Proprio al fine di esercitare il controllo capillare di ogni settore economico-produttivo cittadino la lungimiranza della società foggiana ha puntato a consolidare un asse trasversale fra le tre batterie di cui si compone (Moretti-Pellegrino-Lanza, Sinesi-Francavilla e Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese), così realizzando una struttura operativa in senso criminale alla quale si accompagna quella economico-imprenditoriale che annovera non solo imprenditori collusi ma anche commercialisti e professionisti di varia estrazione nonché appartenenti alle istituzioni”.
Riguardo all’area garganica, la Dia evidenzia che “nel solco della mafia agro-pastorale ha messo le radici una criminalità modernissima la cui misura di infiltrazione è data dai provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali di Monte Sant’Angelo, Mattinata e da ultimo Manfredonia dove il 9 febbraio 2021 il Consiglio dei Ministri ha deliberato la proroga, per sei mesi, dell’affidamento della gestione dell’ente ad una commissione straordinaria”.
“Il Sistema Foggia”
Secondo gli investigatori antimafia, “fra gli strumenti di penetrazione nei gangli vitali della società civile” ci sarebbe “senza dubbio il capillare e sistematico racket estorsivo”, il quale “consente ai gruppi criminali di perseguire scopi di più alto profitto. Emblematica, al riguardo, è proprio la citata operazione Decimabis dove è emerso come la metodica pressione estorsiva, funzionale all’acquisizione di attività imprenditoriali nei confronti di imprenditori e commercianti di Foggia, fosse gestita secondo un codice regolativo predefinito e condiviso, significativamente denominato quale il ‘Sistema Foggia’. Nello scenario criminale pugliese, non solo a Foggia, si rileva il passaggio da un modello tradizionale di racket a uno molto più subdolo e insidioso in cui è sufficiente la forza intimidatrice promanante dalla solo appartenenza degli aguzzini al vincolo associativo per piegare il territorio al controllo mafioso”.
Come la ‘ndrangheta
Magistrati e forze dell’ordine non stanno a guardare. Anzi… La Dia, infatti, mette in risalto come “le incisive risposte della ‘Squadra Stato’” abbiano “segnato profondamente la struttura criminale dei clan che, privi dei rispettivi vertici e fortemente destabilizzati sia sul piano operativo che decisionale, potrebbero tentare una silente rimodulazione attraverso nuovi modus operandi. Elementi a sostegno di questa chiave di lettura si possono desumere dalla posizione di centralità assunta dalla società foggiana che anche nel periodo di riferimento conclamerebbe la sua progressiva espansione nei territori della provincia ma anche oltre confine verso regioni come l’Emilia Romagna, l’Abruzzo ed il Molise. Il processo espansionistico si sarebbe principalmente concretizzato attraverso il potenziamento del ruolo delle batterie, un vero e proprio motore operativo dell’organizzazione mafiosa che partendo da un comune epicentro fondante si sono espanse sempre più verso l’esterno. Attraverso un controllo magmatico del territorio la mafia del capoluogo tenderebbe a superare forme di instabilità e conflittualità per protendere verso nuovi assetti organizzativi più consolidati e fondati su strategie condivise”.
“Infatti – si legge ancora -, a fasi di turbolenza che hanno dato il via a scontri armati tra le tre batterie hanno fatto puntualmente seguito la mirata ricerca e il contestuale recupero della coesione interna in un andamento altalenante teso alla elaborazione di più efficienti modelli organizzativi capaci di governare la complessità del processo espansionistico. La sinergia tra i clan funzionale alla pianificazione e gestione delle attività illecite, nonché alla condivisione degli interessi economico-criminali si tradurrebbe nella riproduzione di canoni strutturali assimilabili a quelli della ‘ndrangheta con modalità di intervento particolarmente forti e insidiose al punto da realizzare ramificate commistioni con il tessuto connettivo sociale ed economico”.
“Mafia degli affari” e interdittive
Recenti indagini come Decimabis “hanno sottolineato la significativa vocazione imprenditoriale della criminalità foggiana la quale pur fedele alla tradizione mafiosa di cui si nutre è stata capace di aprirsi alla modernità orientandosi verso un più evoluto modello di ‘mafia degli affari’“. Per il nuovo Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, Roberto Rossi: “…tutti gli organi istituzionali (dal CSM al Parlamento) riconoscono la terribile pericolosità di questa mafia. Non solo per la capacità militare, ma soprattutto per la capacità di controllo del territorio e di infiltrazione nel tessuto economico politico”. Secondo la Dia, “il contesto descritto può essere desunto anche dalle numerose interdittive emesse nel semestre dal Prefetto di Foggia che illustrano la capacità dei clan di interagire con la vita pubblica e l’imprenditoria interferendo nel mercato e condizionandone lo sviluppo”.
Provvedimenti prefettizi che “hanno in generale colpito attività commerciali e imprenditoriali nei settori dell’itticoltura, dell’allevamento di bovini e caprini, della manutenzione e della pulizia, nonché in quelli più tradizionali del ciclo dei rifiuti soprattutto nell’area garganica e del basso Tavoliere. In questo contesto, l’azione antimafia si è concentrata proprio sui rapporti tra imprese e amministrazioni pubbliche evidenziando tutti gli indicatori sintomatici di una permeabilità e di un condizionamento mafioso soprattutto nei confronti dei settori dell’economia particolarmente colpiti dall’attuale emergenza sanitaria”.
La droga
È il traffico di droga al centro degli affari dei clan, motivo di astio e pace criminale tra i boss della provincia, spesso in combutta per il controllo del business: “Quanto al mercato degli stupefacenti – scrive la Dia nella relazione semestrale – i numerosi arresti e sequestri di droga confermano come tutto il foggiano rappresenti un crocevia strategico nel narcotraffico grazie alle coste garganiche che ben si prestano ai traffici illeciti in particolare dall’Albania. Molteplici sarebbero comunque i canali di approvvigionamento anche extra-provinciali con particolare attenzione alla confinante provincia BAT che favoriscono una politica di mutuo soccorso volta a ‘tenere’ le numerose piazze di spaccio più che a una gestione egemone. In proposito, le recenti inchieste corroborano le dichiarazioni di un qualificato collaboratore di giustizia secondo cui il mercato della droga a Foggia sarebbe soggetto a regole diverse rispetto al passato in quanto le stringenti strategie di egemonia da attuare attraverso l’imposizione dei canali di approvvigionamento sono talvolta superate con il riconoscimento all’organizzazione mafiosa del cosiddetto ‘punto’ ossia l’importo richiesto agli spacciatori per l’esercizio dello smercio di stupefacenti. Nel Gargano, peraltro, le consistenti piantagioni locali testimoniano il consolidamento della produzione ‘in casa’ agevolata dalla morfologia del territorio e dalla fitta vegetazione che viene disboscata per ricavare al suo interno appezzamenti da destinare alle coltivazioni illecite. Proprio sulla dorsale San Marco in Lamis-San Nicandro-Cagnano Varano il fenomeno delle coltivazioni di piantagioni di Cannabis ha assunto un grosso rilievo tale da ipotizzare che sia esteso in chiave extraterritoriale. Anche l’attività di narcotraffico assumerebbe rilievo nell’area in quanto facilmente favorita dalla conformazione costiera e dell’entroterra impervio, nonché dalla presenza di albanesi ben inseriti nel tessuto criminale dei territori summenzionati”. In chiusura, la Dia spiega: “L’analisi del fenomeno criminale mafioso dimostra come i punti di forza su cui fanno leva i clan della provincia siano l’impenetrabilità favorita dalla struttura familistica delle organizzazioni malavitose e l’efferata capacità di controllare il territorio di riferimento che genera un contesto di tendenziale omertà”.