Passa dalle intercettazioni a casa del boss Franco Nardino detto “Kojak” il processo a carico del 63enne Giuseppe La Piccirella, capo del clan Testa-La Piccirella di San Severo, storicamente rivale del gruppo Nardino. Nuova udienza, durata oltre tre ore, presso il Tribunale di Foggia dove si è svolto il controesame di un ispettore di polizia, tra i principali investigatori di “Ares”, maxi blitz che nel 2019 decapitò la mafia sanseverese. Dopo l’operazione di DDA e forze di polizia, quasi tutti gli arrestati scelsero il rito abbreviato, terminato a maggio scorso con numerose condanne, tranne La Piccirella detto “il ragioniere” o “il professore” e il 65enne Giuseppe Spiritoso detto “Papanonno”, nome noto della criminalità foggiana. La posizione di quest’ultimo è più marginale, risponde per alcune presunte cessioni di droga. Entrambi optarono per il rito ordinario, tuttora in corso davanti alla giudice Mancini.
Durante l’ultima udienza, pm della DDA Bruna Manganelli, legale difensore Luigi Marinelli, l’ispettore di polizia ha risposto unicamente riguardo alla tentata estorsione nei confronti di un macellaio di San Paolo Civitate imposta, tra gli altri, da Giuseppe Vistola, alias “Fafum”, già condannato a 6 anni di reclusione nell’abbreviato, accusato di far parte del clan La Piccirella e di diversi reati soprattutto in materia di sostanze stupefacenti.
Buona parte del processo, come detto, verte attorno alle conversazioni captate a casa di Nardino, intercettato durante il periodo in cui il boss godeva di un permesso premio dal carcere di Sulmona. In udienza sarebbero emerse anche una serie di contraddizioni sui dialoghi che in alcuni frangenti sembrerebbero accusare La Piccirella in maniera indiscutibile, in altri invece evidenzierebbero situazioni non riscontrate.
Relativamente al caso del macellaio, il ruolo di La Piccirella sarebbe rimasto fermo ad un quadro meramente indiziario. Secondo il legale di La Piccirella “non ci sono riscontri di natura oggettiva e soggettiva” che coinvolgano il suo assistito, sospettato di essere il mandante della tentata estorsione. E non risulterebbero servizi di osservazione controllo pedinamento né ulteriori riscontri chiari sul ruolo del “ragioniere”.
Il coinvolgimento dell’imputato si fonda essenzialmente sull’interpretazione delle conversazioni tra gli autori di questa tentata estorsione ovvero Ciociola, Florio e Minischetti (già condannati per questa vicenda, ndr) che sembravano far riferimento a La Piccirella, indicato nelle intercettazioni con i nomi “Pino” o “Pinuccio” o con il suo soprannome “il ragioniere”. Ma anche queste intercettazioni non farebbero riferimento ad un ruolo attivo dell’imputato. Non dello stesso avviso la DDA secondo cui la figura di La Piccirella sarebbe apicale e facilmente riscontrabile sul piano puramente logico alla luce delle gerarchie nel mondo della criminalità organizzata sanseverese. Ma per la difesa si tratterebbe di una ricostruzione essenzialmente accusatoria e quindi infondata.
Le prossime udienze – la più vicina già a metà dicembre – vireranno sulle accuse di droga e su altre tre tentate estorsioni oltre che sui reati in materia di armi. Legali degli imputati abbastanza soddisfatti di quanto sta venendo fuori dall’istruttoria dibattimentale, ma il processo è ancora aperto ad ogni esito.
La Piccirella è accusato di mafia, traffico di droga, 5 imputazioni di spaccio, duplice tentato omicidio, 3 estorsioni, 4 tentativi di estorsione, gambizzazione, 9 imputazioni di armi, 3 di ricettazione e una di furto. L’imputato segue il processo dal carcere di Teramo dove è detenuto in regime di Alta Sicurezza. (Nella foto in alto, l’aula di tribunale; nei riquadri, La Piccirella e Spiritoso)